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È un volto noto alle formazioni del Villorba Rugby, in particolare ai ragazzi dell’Omar della Serie A (oltre che dell’Arredissima): Pierpaolo Serena, il medico ufficiale del Villorba Rugby. Una figura fondamentale nel nutrito novero di specialisti della salute che, con la loro conoscenza e grande dedizione, seguono settimanalmente i nostri giocatori e giocatrici.

“Vengo dal mondo del rugby – dice il dott. Serena – essendo stato giocatore della Tarvisium, trevigiano doc. Avendo imboccato la professione medica, una volta laureato, ho cercato un’esperienza nel mondo dello sport che aderisse alla mia professione. Quella del medico di una società rugbistica era la più aderente a me. Così ho scelto con attenzione una società che mi garantisse di poter fare una bella esperienza.

Da oltre due anni seguo la prima squadra maschile dell’Omar, oltre che le formazioni minori, facendomi trovare pronto all’appuntamento della domenica. Correndo in campo per assistere i ragazzi che si acciaccano, affrontando, in una sorta di “primo soccorso”, quelli che sono i loro traumi del gioco. Sono di diverso tipo e bisogna agire con grande cautela.

Da qualche tempo il mio rapporto di collaborazione, oltre che nelle partite della domenica, si è esteso durante la settimana, quando si cerca di capire dopo il match l’evoluzione dei traumi e degli incidenti, andando più a fondo nell’analisi dei problemi rispetto a una veloce ricognizione sul terreno di gioco, facendo ricorso ovviamente ad esami approfonditi.

Mi confronto con un bel gruppo di colleghi e di fisioterapisti con i quali c’è grande sintonia, che hanno a cuore come me il pieno e veloce recupero dei ragazzi vittime di incidenti di gioco. Perché a nessuno piace restare fermo e non giocare. Si tratta di un’esperienza medica di grande valore, importante nella mia crescita professionale, orientata alla specializzazione in medicina dello sport.”


Come giudichi l’ambiente gialloblù?
“La scelta del Villorba Rugby si è rivelata vincente: mi ha dato la possibilità di restare vicino al mondo della palla ovale che conosco bene e al contempo misurarmi con una società che ha prestigio e che può contare su due formazioni in Serie A.

Si tratta – certifico – di una gran bella realtà, dove regna armonia e dove ci sono le idee chiare. Si è creato un bel team di medici e persone che operano nei settori della radiologia, anestesia, fisioterapia.

Il mio ruolo di professionista mi impone di guardare a questa esperienza particolare da due punti di vista: quello medico e quello umano, ricordandomi sempre che i ragazzi in campo sono anche spesso degli amici con i quali è bello fermarsi a bere qualcosa in clubhouse.

I più giovani vedono in me (forse per il rispetto verso la professione) il medico più che l’ex giocatore, ma con gli atleti delle prime squadre (e anche con i Fabbri) c’è un rapporto che va al di là delle mie diagnosi e delle mie prescrizioni. Non fosse altro perché con molti ho anche giocato.”


C’è un po’ di panico nell’affrontare, senza pensarci troppo, i traumi durante il gioco, gestendo interventi che richiedono colpo d’occhio e competenza?
“Un professionista non può essere preso dal panico. Ci deve essere la dovuta cautela e capacità nel valutare le situazioni. A volte i medici devono capire come comportarsi in campo di fronte a traumi importanti che richiedono approcci competenti. Ma non si improvvisa nulla.”


Esperienza formativa, dunque?
“Molto formativa. Sia professionalmente che umanamente. Impegnarsi con assiduità e passione è gratificante e vale il sacrificio.”

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